La bambola – racconto di Davide Re

La prima cosa che mi fece pensare con la sua apparizione fu che è proprio vero che la fortuna aiuta gli audaci. E io, potete giurarci, per quanto molto spesso me la faccia sotto, audace lo sono sempre stato. Doveva essere per questo che mentre il fumo acre del mio sigaro si stava ancora diradando nell’aereo, io a terra avevo già fatto colpo. E che colpo!
Ero lì che pensavo a mia mamma e agli affetti che avevo lasciato lontani, se sapeste quanto sono sentimentale a volte, quando mi ha sorriso la bambola. Era fatta di occhi e di labbra. Ci voleva proprio. L’idea di stare da solo in una città così fredda non mi piaceva. Era risaputo che le donne di quelle parti non sono riservate come le nostre del sud, ma non credevo proprio che trovare compagnia fosse così semplice. Certo che era bionda, là lo sono quasi tutte e lei non sembrava voler essere originale. Ricambiai la banalità della sua apparenza quando mi chiese il mio nome. “Toni” le dissi. Facile da inventare, semplice da pronunciare e da dimenticare. La seguii come un cagnolino in abito firmato fino al bar. Lì recitammo le nostre parti. Lei la pollastra e io l’italiano che ha vissuto il doppio di lei. La cicatrice sul mento testimoniava in mio favore.
Quanto parlava! Cianciava, rideva e beveva. Vodka naturalmente. Più parlava e più versava, più beveva e più rideva. Io il vino lo reggo ragazzi, certo che lo reggo, ma quel liquido è benzina e io ai tempi andavo su di giri come una Ferrari. Lei invece era uno Skoda. No, non dico l’automobile, dico il carro armato. Proseguiva senza esitazioni e non accusava nessun colpo. Ma sapete quanta benzina beve un carro armato?
Finalmente arrivammo al dunque, che poi era il vero motivo di tutta la pantomima. Mi disse che aveva prenotato una stanza per quella sera lì vicino all’aeroporto, al Petrinska Motel. Ci lasciammo dandoci appuntamento alla camera 121 per le 22. Lei prima aveva due cose da fare. Che forza! Con tutta quella vodka in corpo si metteva a sbrigare le sue faccende.
Mentre osservavo la sua Volkswagen allontanarsi, intontito dall’alcool, il pensiero di passare in un motel la prima notte lontano dalla mia terra mi faceva sorridere. Potevo permettermi di comprare una catena di alberghi, e stavo per finire in una bettola. Non mi importava: un figlio di pescatori non muore per una notte senza lusso. Cercai di recuperare un po’ di lucidità facendo due passi nell’aria gelida e mangiando un boccone. Ah, quella sì che è cucina da schifo, ragazzi, ma me la feci andar bene. Dopo aver cenato mi venne un dubbio: stanza 121 alle 22 o stanza 122 alle 21? Non me lo ricordavo proprio, maledetta sbronza! Così, dovendo scegliere, decisi che era meglio rischiare di arrivare in anticipo piuttosto che in ritardo, e mi affrettai verso il motel.
Rassicurato dalla sua auto nel parcheggio, salii le scale pregustandomi una nottata da sogno. Arrivai di fronte alla camera 122 e mi sistemai la cravatta. Decisi di non bussare, sapete com’è, in certi momenti mi piace scherzare, e dopo aver abbassato delicatamente la maniglia, socchiusi la porta.
Appena infilai la testa nella stanza mi sentii raggelare il sangue. Potevo vedere la mia bambola ignara del mio sguardo che si stava passando il rossetto su quelle labbra infinite, in attesa del mio arrivo. Ciò che non mi piacque fu che aveva perso tutti i suoi colori tranne il bianco e il nero, ed era alta una quindicina di centimetri. Stava tutta contenuta dentro a un piccolo televisore posato su di un tavolino, contro la parete alla mia sinistra. Da lì si osservava ogni movimento nella sua stanza. Vicino allo schermo scorsi un giornale, un telefono, un caricatore e una pistola. A un passo dal tavolo c’era una sedia e su di essa erano appesi una giacca nera e una coppola rossa. Chi può avere tanto cattivo gusto da mettersi una coppola rossa? Ne avranno venduta una in tutto il mondo e io l’avevo già vista in testa al Ragno, il picciotto più spietato di don Gaetano. Cazzo, mi avevano già trovato! Di sicuro non avevano gradito la piccola deviazione verso est che avevo fatto dopo aver consegnato il carico di droga, e ora me ne avevano organizzata un’altra verso il fondo di qualche mare. Con certa gente non si può scherzare, soprattutto quando ci sono in ballo milioni di euro. Il rumore dello sciacquone affrettò le mie considerazioni. Richiusi la porta e mi allontanai silenziosamente.
Sono vivo grazie alla vodka, ragazzi. Avanti! Chi mi offre il prossimo bicchiere?

 

[Photo by Nathan Powers on Unsplash]

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