Quarantena blues #4: incendi, linciaggi e mascherine

Non succede mai niente in queste settimane di isolamento. A parte il tentato linciaggio di una ragazza, al supermercato, a cui era scivolata la mascherina dal naso. Chiacchierava ignara con il tizio al bancone della macelleria quando dal reparto latticini si è sentito urlare in dialetto. Il senso della frase, al netto del turpiloquio, era più o meno questo: “La mascherina devono averla tutti.” Noi quattro in coda, capannello allo stato gassoso, ci siamo guardati senza capire.

“Dice a me?” fa il macellaio, che di mascherine ne ha due, più i guanti, il camice e tutto il resto.

L’anziana signora punta il dito nodoso verso la ragazza. La giovane arrossisce, risistema il dispositivo sul naso e si scusa. Dice che la mascherina le scivola perché è troppo grande. Ma la vecchia non perdona, dice che l’elastico si può stringere, che il ferretto all’altezza del setto nasale l’hanno messo lì apposta. La ragazza recupera il suo chilo di salsiccia nostrana e si dilegua verso la corsia dei vini. La vecchia ha le fiamme negli occhi, unica cosa visibile del volto. Continua a inveire in dialetto. Ora il senso è più o meno questo: “Che se lo prenda lei il coronavirus, che fa tanto la spiritosa. Se tutti fanno così non finirà mai, il coronavirus. Che muoia lei, invece di noi vecchi.” Poi punta gli occhi su di me. Io ho l’istinto di tastarmi il volto per vedere se è tutto in ordine, ma so che non devo farlo. Muovo le narici per sentirmela addosso: ce l’ho. La vecchia mi sfila accanto col suo carrello, allargando la traiettoria, senza smettere di guardarmi. Capisco che non ce l’ha con me, ma con il mondo intero. Ha paura, cerca qualcuno con cui prendersela e forse è delusa dal fatto che la mia mascherina sia in ordine.

Comunque, a parte questo, non succede mai niente. Tranne la settimana scorsa, quando un’ambulanza si è fermata qui sotto casa, nella piazza con la fontana che una volta era un lavatoio. Poco dopo un infermiere, bardato dalla testa ai piedi che pareva uscito da rainews24, faceva sapere al collega rimasto in strada che il paziente andava portato giù per le scale a spalla. La figlia del malato è arrivata in quel momento in macchina e ha inchiodato a pochi metri dall’ambulanza. “No, mio papà!” ha urlato. Due bambine, sui sedili posteriori, avevano le facce spaventate. Io e Laura eravamo sul balcone a stendere, la donna ci ha guardati: “Mio papà” ha ripetuto. Io non ho saputo cosa rispondere, mi sentivo un guardone sulla scena di un incidente stradale. Poi l’ambulanza è partita e del nostro vicino non si è più saputo niente. La moglie, che girava tutto il giorno col cane, è sparita anche lei. Immagino debba stare in casa e che il cane ora sia costretto a farla sul balcone.

Lo so, mi attacco a queste sciocchezze perché qui non succede mai niente. Tranne due ora fa, quando Laura è entrata nella camera in cui cercavo di seguire la diretta Facebook di Giuseppe Conte e mi ha detto: “La casa di fronte alla nostra ha preso fuoco.” Guardo fuori dalla finestra, vedo le fiamme spuntare da dietro la casa, sento il legno scoppiettare. Chiudiamo le persiane, mettiamo le scarpe ai bambini per essere pronti ad andarcene in caso di bisogno. Poi scendo in strada per dare una mano. Vedo fiamme alte che partono dalla legnaia e arrivano a lambire il tetto.

“Posso fare qualcosa?” chiedo.

Un uomo dal collo abbronzato armeggia con l’idrante a colonna da cui non esce nemmeno una goccia d’acqua.

“Non c’è niente!” dice.

Poco dopo un ragazzo con gli stivali di gomma e una tuta verde con il marchio di un trattore arriva portando una pompa a gasolio e la poggia accanto alla fontana. Collega un tubo più corto e lo immerge nell’acqua, poi uno più lungo, che però arriva a malapena sul lato in fiamme della casa. Le persiane hanno già preso fuoco, i vetri sono collassati. È arrivata altra gente. Il ragazzo accende la pompa, il tubo si gonfia con la pressione dell’acqua e dobbiamo tenerlo sollevato perché arrivi dove serve. Prendo posto lungo il tubo e mi sorprendo, un istante dopo, a verificare se ci siano le distanze minime di sicurezza con gli altri. Il ragazzo con la tuta verde corre avanti e indietro per sistemare il tubo, mentre si sentono le sirene dei vigili del fuoco avvicinarsi.

Nella casa per fortuna non c’è nessuno. La padrona arriva, allertata da qualcuno, prende la chiave dalla casella della posta e si fionda all’interno.

“Non vada dentro” dico.

Ma lei non mi sente nemmeno. Si riaffaccia.

“Dove sono le chiavi del camper?” urla al marito.

Poi entra di nuovo ed esce con le chiavi, si mette alla guida del camper e lo sposta. Mentre la osservo mi dico che al suo posto avrei fatto la stessa, stupida, cosa: rischiare per quel poco che sei riuscito a costruire in una vita. Assicurarti un letto per la notte.

La scena si conclude con un discreto assembramento di curiosi a godersi il lavoro dei vigili del fuoco, che riescono a domare l’incendio. Quasi tutti mantengono la distanza di un metro, anche se io e i carabinieri siamo gli unici muniti di mascherina. Spero che nei prossimi giorni questa piccola frazione non diventi la nuova Wuhan…

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