Quarantena blues#3: Smart working?

Accendo il computer. Dov’è il caricatore? Eppure era qui.

“Franci, dove l’hai messo il caricatore?”

“Boh…” Faccino innocente, palmi rivolti in alto.

Dopo un quarto d’ora lo trovo, nella cesta dei giochi.

“Dov’ero rimasto… Esplora file – Cartelle frequenti – Articoli – xyzxyz.odt”

“Papà, voglio un foglio” dice Elisa.

“Come, scusa?”

“Per favore papà, mi dai un foglio?”

Mi alzo dall’angolo in cui sono, incastrato tra il tavolo e il muro della stanza. Cerco di scavalcare il cavo del caricatore, ma si impiglia nella ciabatta. Per non far cadere il computer inciampo nelle costruzioni abbandonate sul tappeto e atterro rovinosamente sul divano. Francesco festeggia il mio arrivo dandomi il libro Brucomela sulla testa.

“Ahi, piano! Dopo lo leggiamo, ora fatemi concentrare un po’ per favore.”

Prendo un foglio e lo consegno a Elisa. Ci ripenso, gliene do dieci.

“Vi serve altro, bimbi? Che poi mi siedo.”

“No.”

Rifaccio il percorso a ostacoli fino alla mia postazione. Dov’ero rimasto? Ah, sì. Fammi rileggere quello che ho scritto ieri. Che fatica riprendere il filo del discorso ogni volta! Raccolgo le idee e cerco di formulare la prima frase: Secondo il rapporto di Save the children…

“Lasciaaaaaa!”

“Nooooooo!”

“È mioooooo!”

“Biiimbiiiii, baaastaaaaaa!”

Salvo il documento, scavalco il cavo, schivo le costruzioni, sedo la lite, torno indietro.

“Oh no… Chi è che ha chiuso il computer?”

Francesco alza la mano compiaciuto: “Io!”

Aspetto il riavvio, faccio un bel respiro. Dov’ero rimasto? Secondo il rapporto di Save the children…

“Papà?”

“Dimmi.”

“Ho fame.”

Anche oggi lo stesso errore. Eppure ce lo siamo detto mille volte, io e Laura, che se stai coi bambini è meglio che ti dedichi a loro: cercare di fare altro è controproducente per tutti. Per questo ci siamo divisi la giornata: lei lavora al mattino, in camera da letto; io il pomeriggio. Il fatto è che il tempo non basta mai, tra una cosa e l’altra, e uno cerca di recuperare come può. Se le ore utili, dal risveglio alla “messa a nanna”, sono circa 12, che diventano 8 esclusi i pasti e i momenti comuni, ne restano 4 a testa, salvo esigenze speciali tipo la spesa, i bagnetti, ecc…

Quando arriva in cucina, all’ora di pranzo, Laura mi trova con gli occhi fuori dalle orbite. I bambini le corrono incontro in cerca dell’attenzione che io gli ho negato e io mi sento uno schifo. Stessa scena, a personaggi invertiti, quando io li raggiungo all’ora di cena.

E dire che noi siamo molto fortunati, perché siamo in due e i nostri bambini non hanno esigenze speciali. Siamo privilegiati perché abbiamo carichi di lavoro sopportabili. E anche perché abbiamo trovato un modo per dividerci i compiti nella gestione familiare e della casa.

Secondo il Chartered Institute of Personnel and Development lo Smart Working è un approccio all’organizzazione del lavoro finalizzato a guidare una migliore efficacia ed efficienza nel raggiungimento degli obiettivi attraverso la combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, puntando sull’ottimizzazione degli strumenti e delle tecnologie e garantendo ambienti di lavoro funzionali ai lavoratori.

Uno studio basato sui dati raccolti in tre anni di osservazione (copio e incollo da Wikipedia) riporta i seguenti dati medi per dipendente: 2.400 chilometri percorsi in meno, sette giorni guadagnati e 270 chili di anidride carbonica non immessi nell’aria con un risparmio di circa 1300 euro a dipendente.

I vantaggi sarebbero indiscutibili, quindi, ma non so se possiamo chiamarlo smart working, quello che molti italiani si trovano a svolgere in questo momento. Si chiede di lavorare da casa, con flessibilità e autonomia, ma non si tiene conto del contesto in cui i lavoratori operano. Certo, la situazione attuale è dettata dall’emergenza, quindi va bene tutto, ma stanno già emergendo alcuni problemi. Problemi strutturali (le aziende non sembrano veramente attrezzate e propense a rinunciare al controllo sul tempo dei dipendenti), culturali (se sei a casa, per molte persone, non stai veramente lavorando, quindi puoi essere interrotto in qualsiasi momento), di genere (ma se uomini e donne telelavorano entrambi, chi li fa i mestieri? chi sta dietro ai figli?)

Proviamo per un attimo a immaginare una situazione futura, senza virus a infestare le case e le aziende. Immaginiamo una donna, chiamiamola Mariuccia. Due figli in età scolare, un marito che lavora fuori casa tutto il giorno. Diamole il “privilegio” dello smart working.

È una giornata tipo, in cui i bambini vanno a scuola. Ciò comporta che non sia un giorno di vacanza (i giorni di scuola sono circa 200 all’anno, ne mancano all’appello 165) e che non sono malati  (si ammalano più spesso di quanto si possa pensare). Mariuccia li accompagna, poi torna a casa. Sono le 9 e il conto alla rovescia è partito. Si accorge che c’è una lavatrice da far partire e lo fa subito, per non accumulare. Ci vuole un attimo. Si muove in fretta perché sa che l’organizzazione del tempo è importante quando si lavora da casa. Ma mentre si avvia ad accendere il computer vede che lo stendino è pieno e la roba è asciutta. La piega (per stirare non c’è tempo) e la mette via. È già passata più di mezz’ora. Ci sono i letti da fare, i pavimenti hanno bisogno di una ripulita, ma Mariuccia decide di rimandare queste faccende. Però la cucina è ancora in disordine dalla colazione, e va sistemata: raduna in fretta piatti e scodelle e apre la lavastoviglie. Qui le scappa un’imprecazione, perché la lavastoviglie è piena di cose pulite…

Insomma, ci siamo capiti. Mariuccia combinerà poco quel mattino, mentre gli arretrati si accumulano. Mangerà qualcosa a caso senza staccare gli occhi dal computer e in un attimo sarà ora di andare a prendere i bambini a scuola. Il resto della giornata è un fiume inarrestabile: gli impegni sportivi dei figli, la cena, il pigiama, la stanchezza. Di certo Quasimodo pensava a lei quando scrisse “Ed è subito sera.”

Un po’ Mariuccia invidia suo marito, che torna stanco come lei, ma almeno può guardarsi allo specchio come uno che ha lavorato tutto il giorno. La sua sensazione, invece, è di essere vista come una che non ha un vero e proprio lavoro.

Ho deciso di fare un esempio al femminile perché mi sembra una situazione più diffusa in Italia (forse nel mondo) rispetto al suo contrario, squilibrio che in questo periodo di emergenza COVID-19 è già evidente. Ciò non toglie che potrebbe esserci Peppino al posto di Mariuccia. Il punto è che lo smart working, perché possa portare beneficio alle persone che hanno anche il carico della gestione familiare e della casa, richiede una suddivisione dei compiti più equa, o di trovare soluzioni alternative per consentire lo svolgimento del lavoro. Altrimenti è solo un altro modo, ipocrita, di penalizzare un componente della coppia nella sua riuscita professionale e nella realizzazione delle sue ambizioni.

2 comments Add yours
  1. Di questi tempi lo smart working é pressoché impossibile, se entrambi i genitori si vedono costretti a farlo. Nel caso di bimbi piccoli, è impossibile pensare di potersi isolare da loro, mentre nel caso di figli più grandi, che devono seguire le lezioni a distanza da un PC, le famiglie si trovano a dover condividere lo stesso strumento di lavoro tra più persone. Il risultato? Caos totale ed efficienza=0.

    In tempi più normali invece, credo che il genitore a casa debba imporsi degli orari per svolgere (o non svolgere) i lavori domestici. Insomma, niente lavatrici prima delle 17, e si mangia un panino o un piatto di pasta col sugo pronto. Bisogna fingere di essere in ufficio, oppure si finisce nea situazione che hai descritto. Quindi più rigore e meno lavori domestici. A mio parere, solo così può funzionare. E i lavori di casa si fanno un po’ per uno, dopo le 17.

    1. Penso tu abbia ragione. Ci vuole molta auto disciplina per lavorare nella propria casa senza farsi distrarre da altre incombenze. Molti preferiscono andare in biblioteca o trovarsi un ufficio in condivisione perché trovano impossibile farlo. Sperando tornino tempi “normali” proverò a seguire il consiglio di darmi un orario rigido prima del quale ignorare i lavori di casa, ma conoscendomi non so se ce la farò…

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