COVID-19 potrebbe essere la formula della felicità

Scrivo queste righe dalla piccola casa in cui è nata mia nonna, nel Trentino. Lo faccio dopo essermi ripromesso di non dire la mia su questo argomento visto che, lo dico subito, non ho competenze specifiche e di opinioni ne girano veramente troppe, quasi tutte inutili se non controproducenti.

Le ultime due notti ha messo neve e la vallata fuori dalla finestra è macchiata di bianco e di verde scuro. Dai camini dei borghi si alza fumo di legna, che si dissolve in un cielo che oggi è terso e fa venir voglia di lasciare milioni di impronte sul manto bianco. Sono qui da due settimane con Laura e i nostri due figli, e da quando siamo arrivati non abbiamo visto nessuno.

Prima che mi diate dell’allarmista che ha perso la testa, forse dovrei fare una premessa. Anzi, due. Così poi mi darete dell’allarmista, ma per le ragioni corrette.

Uno, per me la quarantena è la situazione ideale nella vita. Non me ne vanto, ma di fatto preferisco starmene per conto mio, vedere persone nelle rare occasioni in cui ne ho voglia e anche loro hanno voglia di vedermi. Non mi capiterà mai più una scusa così perfetta! Non fosse che mi è passata la voglia di scherzarci sopra, direi che per me COVID-19 è la formula della felicità.

Due, io qui in Trentino ci sarei venuto lo stesso, virus o non virus, visto che il piccolo Francesco non respira granché bene e, dopo due inverni (i suoi unici due) passati a pastasciutta, cortisone e antibiotici il pediatra ce l’ha detto chiaro: deve cambiare aria. Poi è successo che hanno chiuso le scuole, Laura ha avuto la possibilità di lavorare in smart-working, ed eccoci qui tutti e quattro. Una quarantena un po’ meno tranquilla, ma tutto sommato un’occasione per stare insieme.

Nel frattempo ho confezionato due tute da sci ricavate dai sacchi di pellet vuoti (e chi se l’aspettava la neve a marzo?) e tra una discesa col bob e una passeggiata nel bosco, le notizie dei nuovi contagi mi raggiungono come un bollettino di guerra, insieme ai tentacoli degli impegni lasciati in sospeso con persone che sembrano ostentare una certa indifferenza verso il coronavirus. Messaggi con frasi ironiche, emoji dai sorrisi obliqui e nessun bisogno di dimostrare che loro la sanno lunga e non si fanno ingannare da tutta questa storia.

Così, nel silenzio rotto solo dai miei passi e da qualche grumo di neve che cade dai rami dei larici, cerco di ragionare con freddezza sul fatto che, presto, dovremo rientrare in Lombardia, anche se non sono affatto tranquillo. Non è il virus che mi fa paura, è la gente. Quella che pensa di sapere tutto e non sa niente. È un pensiero che ho fin dall’inizio, lo stesso che mi ero ripromesso di non condividere.

Ora, visti gli sviluppi, i dati e l’aria che tira nei discorsi delle persone, mi sono fatto un’idea tutta mia  su cosa succederà: nel giro di poche settimane gli ospedali si riempiranno di quelli che io chiamo gli Splendidi, ovvero gli scettici sapientoni del: “Stasera tutti da me, birra Corona e narghilè.” Quelli che al tavolo appiccicoso di un bar tengono conferenze, dopo essersi seriamente documentati sui social, all’insegna del:

“Ma chi se ne frega.” (Classico, semplice, va bene con tutto)

“L’economia si ferma.” (Si sa, i mercati non l’hanno presa bene. I mercati, qualunque cosa siano, sono la nostra priorità.)

“Ci trattano come appestati, ma in realtà il paziente zero in Europa era un tedesco!” (Dove l’ho già sentita questa cosa di dare tutta la colpa ai tedeschi?)

“Muoiono solo i vecchi e quelli che sono già ammalati…” (Una cosa simile la dicevano i nazisti, mal che vada poi possiamo dare tutta la colpa a loro)

“È un complotto dei politici per distrarci e fare i loro interessi.” (beh, in questo caso qualche sciacallo c’è sempre)

“Comunque muore più gente per gli incidenti stradali.” (Cameriere, un altro giro! Tanto stasera guido io.)

“‘Sti cazzo di cinesi!” (Cameriere, arriva o no il mio involtino primavera?)

“Coglione, ma non lo sai che la mascherina non serve a niente?” (risate in direzione del nuovo venuto)

“È solo un’influenza.” (Ecciù)

Gli ospedali si riempiranno di questa gente, dicevo. Si troveranno vicini di letto con quelli che hanno svuotato i supermercati tossicchiandosi addosso, in coda alla cassa. Almeno avranno qualcuno con cui dissertare di medicina ed epidemiologia.

Cos’hanno in comune questi due gruppi di persone? La mancanza di lucidità e l’abitudine a non documentarsi oltre il parere del sedicente medico che scrive su Facebook o Whatsapp (eppure articoli seri e non sensazionalistici ce ne sono, ad esempio questo e questo). Hanno in comune il fatto di non mettere in discussione la propria opinione.

Quello che temo per me stesso è trovarmi in mezzo a quei due letti, visto che mi appresto a rientrare in comunità e che il virus non sta a guardare se sei un Splendido o uno che passava di lì per caso.

Da quel letto d’ospedale gli Splendidi continueranno a dire: “Vabbè, mica si muore”, mentre là fuori ci sarà la fila di gente che aspetta un posto per potersi curare; la quarantena sarà un obbligo per tutti e il Paese sarà, allora per davvero, paralizzato. Ora, mi chiedo, caro Splendido: possibile che per non startene in casa buono buono (e magari zitto zitto) per un paio di settimane tu abbia combinato tutto questo casino? Era tanto difficile avere l’umiltà di riconoscere che ci trovavamo in una situazione nuova e incerta, di cui nessuno poteva davvero prevedere gli sviluppi? Ti pesava così tanto usare un po’ di prudenza e rispetto verso le altre persone, magari più vulnerabili di te?

La paura la comprendo e la tollero, la superbia e l’arroganza no. Capisco che qualcuno non possa permettersi di non lavorare, che abbia persone importanti che vuole vedere e impegni che non si sente di lasciare da parte. Troviamo tutti un compromesso, non è necessario rinchiudersi in una casa di montagna a guardare la neve scendere. Non è con chi non si chiude in casa che me la prendo, ma con chi si fa beffe degli altri con supponenza mettendo in atto comportamenti scorretti e pericolosi.

COVID-19 potrebbe essere davvero la formula della felicità. Ci sono almeno 5 lezioni che potremmo trarre da questa situazione:

  1. Ogni comportamento individuale ha conseguenze anche sugli altri. E in genere le conseguenze ti ricascano addosso: se stasera vai a giocare a calcetto con Paolo, tra un mese ti tocca metterti la mascherina per andare al funerale di suo nonno. Ehi, un momento, ma suo nonno non giocava a bocce col tuo?
  2. Informarsi richiede tempo e fonti affidabili. Di solito chi si sforza di capire poi decide di tacere, preferisce lasciar parlare chi dedica la propria vita e il proprio talento alla comprensione di un solo argomento.
  3. Lo smart working è possibile ed è un’opportunità per le persone, per le famiglie e per l’ambiente.
  4. Tutto quello che diamo per scontato (cure mediche, libertà di movimento, libertà di espressione, ecc.) non è scontato per niente, e richiede responsabilità e consapevolezza da parte di tutti.
  5. Stare da soli, ogni tanto, fa bene. Anzi, è una figata.

Non sono tipo da attacchi frontali, di solito. Scusa il livore, Splendido, ma non ti sopporto più. Per questo ho tradito il mio proposito di non dire la mia sul Coronavirus: per chiederti di cambiare atteggiamento, perché forse siamo ancora in tempo. Intanto ti saluto così, con la mano nella piega del gomito.

 

9 marzo 2020: aggiornamento

Due giorni dopo la pubblicazione di questo post è entrato in vigore il decreto n.59. La libertà di movimento è andata, almeno fino al 3 aprile, a farsi benedire. Lo stesso la libertà di assembramento. La Lombardia e altre province italiane sono di fatto isolate e bloccate nelle loro attività sociali e produttive. Alcune carceri sono in rivolta, devastate, e diversi detenuti sono morti.

Anche se tra le mie cerchie mi sembra di notare un cambio di atteggiamento (alcuni con curiosi testacoda cerebrali), mi giunge voce di luoghi pubblici pieni di gente. Mi si racconta di persone che ancora non credono che le misure prese siano necessarie.

Gli organi di informazione tradizionali italiani hanno fallito. Hanno perso autorevolezza, soffocati e storpiati dalla necessità di spararla grossa, di urlare più forte, di usare l’hashtag di tendenza, di fare visualizzazioni (magari pubblicando la bozza di un decreto non ancora ufficiale, in un momento come questo). La gente preferisce costruirsi la propria verità, scegliendo da un campionario in cui il sito del Ministero della salute e il canale IG di un qualsiasi influencer sono sullo stesso piano.

Ora c’è un’altra cosa che mi preoccupa: quelle stesse persone che fino a ieri se ne fregavano del buon senso, gli Splendidi, inizieranno a ragionare con la propria testa? Perché in momenti come questo, in cui la paura e il conflitto dilagano, in cui il potere esecutivo (democratico) cammina su un filo sottile, è un attimo perderla davvero, la libertà.

[Photo by Fabian Mardi on Unsplash]

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